Paura della libertà

MEGLIO UN GIORNO DA LEONE O…

CENTO DA PECORA?

La nostra società ha malamente dimostrato tutti i suoi limiti nel microscopico arco di poche settimane.

È passato un alieno nanometrico e mentre noi da millenni eravamo impegnati a combattere draghi e stranieri con i muscoli al vento, un virus invisibile ci ha dimostrato che gli esseri alieni siamo noi, e non solo alieni, ma pure patogeni.

La nostra società si è ritrovata nuda, con tutti i suoi difetti esposti al vento.

L’incapacità di percepire la morte come ascritta alla vita in primis. Incapacità figlia di secoli di tagli sulla spiritualità, sulla connessione con la natura, figlia di devastazioni ambientali e interiori e infine figlia dei tagli statali all’istruzione, alla sanità e alle arti.

Le arti, sì, che con il loro ventriloquare i contenuti dell’inconscio potevano permetterci di integrare anche il più grande spauracchio, rendendolo inoffensivo. Rendendolo, appunto, arte: parte integrante della bellezza della vita.

La cosa che salta davvero agli occhi è la preferenza delle masse per una vita artificiale e fittizia pur di allungarla di un mese o di un giorno, piuttosto che della vita naturale, quella vera, libera e inclusiva di tutto: pericoli e morte compresi.

Un aspetto che ci caratterizzava certo da prima del virus e che quest’ultimo ha solo colorato con l’evidenziatore, affinché lo vedessimo tutti anche al buio.

Meglio un giorno da leone o cento da pecora?

La collettività, in occidente, continua a scegliere la seconda possibilità.

gregge

E si dà per scontato che ciò sia sano, che ciò sia “normale”, che sia “civile”. Dire il contrario è un tabù strutturato e rende oggetto di sassaiole immediate da parte dei “benpensanti”.

Chi non si riconosce in tale logica vitale (che vitale non è, ma solo “anti-biotica”) ora si ritrova o arrabbiato a morte e compresso in una prigionia che va contro i nostri istinti più atavici, potenti e radicali, oppure si sente pecora nera.

La nostra società ha dimostrato l’incapacità dei patriarchi di proteggerci, ma soprattutto di agire in maniera chiara, compatta e logica. Tutte caratteristiche del leader maschile sano, carambolate giù dal precipizio da un bel pezzo ormai, al punto da non ricordarsene nemmeno più. Roba da far sentire offesi tutti gli uomini che la U maiuscola la portano addosso e la manifestano, ma non hanno “visibilità”.

Restano la confusione, il delirio, quando non l’entropia pura, stipendiata trentamila euro al mese, mentre le pecorelle ingenue e compassionevoli fanno sinceramente i salti mortali per riuscire a trovarle delle scusanti.

“Limiti umani”. E no, miei cari, l’asticella dei limiti umani potrebbe essere abbassata di un bel po’ e alzata quella delle virtù, della saggezza, della compostezza, del coraggio di abbracciare la vita, anziché crearne una da laboratorio in cui tu sei il topo.

paura della vita

Per trentamila euro al mese sarebbe il minimo ed è, credetemi, possibile. Poi, il cammino dell’uomo sarebbe ancora lungo per arrivare all’integrità di un Pitagora, di un Socrate, di un Gesù, ma nella feccia di questo Medioevo tecnologico almeno uno straccio di realismo ce lo meriteremmo.

Ma, per fare questo, bisognerebbe aver compreso i nostri limiti e la morte. E per comprendere limiti e morte, bisogna quantomeno essere vivi – caratteristica che tocca ben pochi di noi, ahimè, figurarsi ai vertici nella piramide, laddove l’ossigeno neanche arriva.  

E così, si continua a vivere per finta, raccontandoci che la morte si potrà evitare per sempre, che troveremo soluzioni a tutti gli esseri minuscoli che vivono attorno a noi e in noi da milioni di anni, quando l’unico “articolo” che richieda soluzioni su questo pianeta è la nostra testa.

Si continui pure, dunque, a seppellire di nascosto la notte gli artisti e gli scrittori in ombra, uno dietro l’altro. I fondi pubblici a favore di chi lavora per la guarigione vera. E il sostegno alle scuole, matrici di ogni contenuto e agire umano del futuro.

Fatta così, è una società che continua a buttare armadi e sanitari dentro un vulcano in eruzione, convinta di metterlo a tacere.

Ci perdonino i grandi uomini dell’antichità. Ci perdonino le donne, le sacerdotesse, le dispensatrici di oracoli, davanti alla cui centratura e compattezza un capo di Stato odierno incenerirebbe in un istante.

La morte è fondamento della vita. Se ami la vita, non puoi non contemplare l’idea di morte e abbracciarla come possibilità come ogni singola sua parte, tutto incluso. Vita e morte non sono separate tanto quanto il nostro stesso corpo non potrebbe essere separato da virus e batteri funzionali, appunto, al nostro essere corpo.

Non riusciranno a tenere la vita in scatola per sempre. Ma se continueranno a comprimerla, l’esplosione delle energie vitali ataviche farà a pezzi tutto, perché non usciranno in punta di piedi, usciranno ruggendo. Sentiremo la voce di Kali e sono cavoli amari. Dal tetto e da qualunque apertura si creeranno.

un giorno da leone
Foto di Fabio Grandis

Piccolo uomo, non puoi contenere le tempeste.

Non puoi confezionare gli tsunami e stamparci sopra il tuo codice a barre.

Non puoi fare l’estratto dell’energia sessuale e vitale e buttare via le sue fibre.

Puoi regnare sulle pecore, ma non puoi governare gli asteroidi, le tempeste solari e i virus.

Tu dovevi canalizzare Dio e farne grandi cose. Non dovevi cadere a crederti Dio. Quella è la morte innaturale, quella è la morte più nera, quella è l’unica caduta nell’abisso che temi e che nessun altro essere vivente avrebbe mai intrapreso.

Tu difendi la tua vita mentre non sei ancora nato.

La vita è là fuori e continua a chiedersi incredula se tu davvero preferisca cento giorni di cattività al sicuro a un giorno da essere libero, esposto come tutti gli altri vivi alla luce e al buio, al caldo e al freddo, alla vita-morte e morte-vita, al contatto con gli altri e all’amore.

Mai s’è vista chance più grande e geniale di questa in Duemila anni per dimostrare ora da che parte stai. Pecora o leone. Corpi vivi o liofilizzati in scatola. Vita integrale o la morte asfittica di non-vita che da svariati secoli tu crei.

(Sonia Serravalli)

P.S.

Anti-biotico significa anti-vita

P.P.S.

Questo brano è diventato la prefazione del libro SCRITTURA PER CONTAGIO:


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