un tempio pagano

UN TEMPIO PER NOI “PAGANI”

UN TEMPIO COMUNE

Riprendo il sogno visionario di qualche notte fa, per raccontarne il seguito.

Il sogno, che avevo pubblicato, era il seguente, e lo condivido perché mi sta portando a un nuovo stato dell’essere e a nuove intuizioni:

Conosco un uomo che ha l’energia del Re.

Ieri notte ho sognato che mi accompagnava a braccetto lungo una galleria colossale di pietre antiche, che portava in giù. Tutto era in stile ottomano, favoloso per gli occhi – credo fossimo in viaggio insieme.

Stavamo commentando quelle volte e quelle architetture in stile turco, scendendo a passeggio. Scoprii che là sotto, dopo quel bellissimo passaggio, la galleria portava a un tempio mastodontico, di un’armonia mozzafiato, grande dieci volte in alto e in largo e in lungo rispetto alla più grande moschea o chiesa che io abbia visto in vita mia.

Era un luogo di culto esclusivo, solo alcuni vi arrivavano e non tanti sapevano che esistesse.

Lui mi mostrò che sulle panche erano disponibili dei manti regali con cui coprirsi per pregare e per ripararsi dall’umidità e stare comodi, forse, ma quei manti avevano più un significato rituale. Erano davvero di pregio, morbidi spessi mantelli con cappuccio di tessuti pregiati. Valevano certamente tantissimo e chi entrava in quel tempio poteva anche portarne via uno ogni volta… Ho pensato subito che ne avrei regalati ai miei cari.

Oggi sto benissimo. Questo sogno mi sta facendo benissimo, non ho ancora capito bene come ma è certamente un invito. All’interiorità e ai suoi rituali. Quel luogo era di una bellezza e di una vastità indescrivibile, un’opera colossale sotterranea, in pietra, perfetta, pulita, accogliente, antica e sconosciuta ai più. Dove si pregava davvero. Un luogo pieno di pace, amore e silenzio.

tempio sacro
Dreams by Indig0

Non c’era un seguito nel sogno, il seguito è arrivato quando, dopo due giorni, mi sono decisa a tornare in quel tempio in meditazione. Così si sono aggiunti dei dettagli e ho potuto vedere meglio quel luogo.

Ma soprattutto, ho fatto una scoperta eclatante, che riguarda anche gli altri, motivo per cui sto scrivendo questo articolo.

In quel tempio colossale, in mezzo alla bellezza, alla grazia, alla dignità e alla vicinanza di altre persone che pregavano, senza seguire alcuna prassi comune, ciascuno per conto suo, ho sentito il mio cuore accendersi.

Ho sentito che quello che ci manca enormemente è un tempio comune.

Da quando molti di noi hanno lasciato le chiese (io, per esempio, circa trent’anni fa), abbiamo dedicato anni o la vita a una spiritualità scevra dalle religioni, ma ci è stato tolto il luogo di culto. Ci è venuto a mancare completamente. Non abbiamo mai più potuto godere di un luogo di raccoglimento collettivo, in cui sentirsi protetti, tra “simili”, liberi ma insieme.

E, forse, non abbiamo mai pensato a quanto ciò non fosse in realtà un accessorio, bensì ci risulti un ingrediente fondamentale per sentirci davvero integrati e per poter godere appieno di tutta la nostra forza e il nostro “potere”.

Non ci avevo mai pensato prima che mi arrivasse questa visione. E mi meraviglio anche di non averci mai pensato (a parte che ricordo che i primi anni mi mancava un rituale comune, e lo stesso osservando i musulmani in tutti i miei anni in Egitto).

Ora che me ne rendo conto, la ritengo una mancanza debilitante e forse uno dei motivi per cui tanti di noi, nonostante tanto lavoro su di sé, ancora si sentono soli, a tratti vulnerabili o carenti di qualcosa.

E se fosse un luogo di culto comune quello che ci manca?

luogo di culto
By Elle Decor

Per tutti noi, un tempo chiamati “pagani”, per noi ricercatori spirituali, per noi con il cuore pieno d’amore e dentro tutte le cicatrici che ci è costato un cammino fuori dal coro, fuori dai lavaggi del cervello, fuori dal controllo altrui, fuori dagli spauracchi interessati, fuori dalle schiavitù, fuori dai dogmi e dalle facili certezze preconfezionate…

Torno alla mia visione per darvi qualche altro tratto visivo e sensoriale.

L’uomo dall’energia di Re che mi accompagnava, dopo avermi mostrato le lunghissime panche in legno e pietra in cui mettersi comodi per pregare (ciascuno a modo suo), dopo avermi mostrato quei meravigliosi mantelli e dopo che io avevo indossato il mio, si mise semplicemente in piedi a qualche posto dietro di me, alle mie spalle.

Quando iniziai a pregare, non potevo vederlo, ma sentivo la sua energia unirsi alla mia e la sua protezione.

Poi, iniziai a sentire quanto intensamente mi erano mancati i bisbigli delle altre donne che pregavano sottovoce… Musica per le mie orecchie. Le mani giunte di donne e uomini nel tempio, l’andirivieni di persone in quello spazio immenso in cui nessuno disturbava nessuno e non si creava mai la folla, in cui lo spazio attorno a ciascuno di noi era davvero immenso, e comodo, e luminoso…

La presenza e la concentrazione di miei “simili” che pregavano o ringraziavano in quel tempio potenziava qualunque mia pratica, preghiera o meditazione, e faceva davvero scaldare il mio cuore.

È stata una sensazione fisica forte e bellissima, una specie di bussola. Quella che subito dopo mi ha portata a scrivere questo.

Altre cose che ho notato:

1) La pietra del tempio emanava completamente la sua energia. Pietra viva, terrena e divina insieme. Il tempio non possedeva decori o sfarzi in cui la mano umana avesse snaturato, umiliato o limato l’eleganza gigantesca e granitica della natura stessa e della vita. L’unica lavorazione era tutta in stile tra il romanico e l’ottomano.

2) Quando indossavi quel mantello con cappuccio – morbidissimo e davvero ricco nelle stoffe, nella consistenza e nella lavorazione – le pratiche di preghiera o meditazione riuscivano più facili e spontanee.
E, in pratica, nella nostra energia, e dentro, e fuori, con quello addosso eravamo tutti Re e tutte Regine.
Pregare e ringraziare ci veniva spontaneo e ci nutriva. Ci nutrivano la preghiera, il tempio di pietra, che sembrava costato millenni per la sua costruzione, e la presenza degli altri. In quel silenzio riempito solo dai bisbigli e dal fruscio delle stoffe nel camminare di persone che sapevano quello he stavano facendo, e non avevano bisogno di dirsi nulla.

3) Nessuno stava a capo chino, se non per rilassarsi; nessuno aveva l’aria contrita o pentita o triste.
Tutti, mentre pregavano, guardavano avanti a testa alta.
Ripeto che quel tempio era così grande da non esisterne uno fisico così costruito dall’uomo, almeno non che io sappia. Notavo ora che si trattava di una perfetta miscela tra una moschea islamica, una cattedrale cristiana e un tempio ebraico.

luogo di culto
Foto di Rudy and Peter Skitterians

Poi, notavo che nonostante fossimo sotto il livello del terreno (e credo ormai di parecchio, dato il passaggio/galleria, enorme, per arrivare lì – sempre in pietra antica, e date le dimensioni ciclopiche del tempio stesso), la luce lì dentro era naturale. Ma la cosa ancora più eclatante era che non vidi un altare. Vi erano navate, sì, amplissime e luminose e bianche – ma di pietra viva e accogliente, non ricoperta, non di marmo – e tutti eravamo volti a pregare verso la stessa direzione, ma là in fondo non c’era un vero e proprio altare.

O meglio, non c’era una vera e propria fine. Sì, a tratti il tempio recava un’abside estesissima, a dare un contenimento al nostro spazio sacro, ma a tratti, a seconda dell’intensità delle preghiere, quello spazio si allungava, si estendeva e si spingeva oltre, e allora potevamo notare che quel tempio non aveva una delimitazione vera e propria, una fine, e non avrebbe potuto averla.

Bastava poi un minimo di spavento che il tempio (se pur amplissimo da non farti mai sentire stretto o co-stretto in alcun modo) tornava a rendere visibile la sua abside immensa, le sue colonne, i portentosi spazi di pietra che ci facevano sentire a casa, nel nostro (se pur immenso) nido.

Nostro.

E nido.

Sicuro. Familiare. Bellissimo. Luminoso. Pulito.

Ma, soprattutto, comune. Comune a tutte le persone che l’avevano cercato e trovato.

Mi fermo qui, ma riflettiamoci. E vediamo cosa ne nasce. Nel frattempo, possiamo ritrovarci lì in meditazione, o nei sogni.

Consigli: raccogliere immagini di templi che ci ispirino (in qualunque forma, film che vediamo, files che raccogliamo, fiabe, letture, ecc.) può servire a stimolare l’immaginazione e, quindi, la realtà che apriremo.

Io vi aspetto lì.

Ci incroceremo nel tempio più nascosto e più grande del mondo. Vediamo cosa succede 😊


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2 Commenti

  1. Un racconto onirico è sempre permeato di simboli e significati.
    La galleria che sembra scendere nel sottosuolo/ ci vedo un cammino verso l’interirità dell’anima, un cammino che sembra aver bisogno di essere percorso non da soli (il compagno re) che per essere assimilato nella sua forma primordiale.
    Il mantello/ una protezione certo, non a caso viene chiamato #cappa , ovvero un tetto, un ricovero sotto il quale nginocchiarsi per accogliere la presenza del Daimon. L’essere superiore che alberga dentro noi e che abbiamo dimenticato, o meglio, siamo stati istruiti altrimenti.
    Il tempio che sembra allargarsi verso un infinito senso di benessere penso lo si debba alla mancanza di quella orabilità che sta nella preghiera comune che apre le possibilità dell’incontro con il divino, ovvero noi stessi nel senso profondo del termine. A supporto di questo mi arrivano le parole dell’oracolo di Delfi.

    Un posto comune pensi, si certo. Si dovrebbe cercarlo davvero, perché solo così lo si trova.
    🙂🙏

    1. Tutto vero e azzeccato!
      Sol nella realtà manca quella condivisione, auspico che un giorno (presto) si creino posti così 🙂 Era qualcosa che nel momndo fisico ancora non esiste.

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